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Tancredi Turco

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    L’odiosa pratica dell’obsolescenza programmata rende i beni di consumo e soprattutto i nostri apparecchi elettronici di uso quotidiano inservibili prima del tempo, subiscono un deterioramento inatteso e repentino spesso in un momento vicino allo spirare del temine di garanzia, in genere due anni.

    Stampanti che da un momento all’altro non stampano più, telefoni cellulari che inspiegabilmente diventano inutilizzabili, ovvero veicoli che dopo un certo tempo di perfetto esercizio, iniziano a subire guasti in successione.

    Di certo non è un caso, ogni oggetto è studiato per avere una determinata durata in modo che smetta di funzionare o faccia registrare un calo drastico delle prestazioni, una volta trascorso un periodo di tempo.

    In quel momento il consumatore si scontra con una riparazione anti-economica o si trova costretto a valutare la convenienza dell’acquisto di un nuovo oggetto.

    L’obsolescenza programmata non è un’invenzione così recente, possiamo stabilire con certezza la sua nascita negli anni venti del secolo scorso, più precisamente il 23 dicembre 1924, a Ginevra: in tale anno si costituì un accordo commerciale, inizialmente segreto, un vero e proprio cartello (Cartello Phoebus) tra le maggiori aziende produttrici di lampadine ad incandescenza, quali General Electric, Tungsram, Compagnie di Lampes, Osram, Philips, che si erano accorte del calo delle vendite mano a mano che gli studi e la tecnologia delle lampadine ad incandescenza migliorava. Se le prime lampadine avevano una durata media di 500 ore, con il progresso della tecnologia ed il trascorrere del tempo, le lampadine di seconda generazione erano arrivate ad avere una vita media di 2.500 ore, troppo per il sistema produttivo industriale e l’era consumistica che si affacciava sullo scenario mondiale.

    Con il passare del tempo e lo sviluppo industriale l’obsolescenza programmata è diventata uno dei cardini del modello economico dominante.

    Tale obbiettivo a volte viene addirittura esplicitato dalle stesse aziende produttrici: solo qualche mese addietro uno dei più importanti colossi di produzione di apparecchi tecnologici, la società californiana Apple Inc. ha diffuso un avviso nel quale dichiarava che un telefono cellulare smartphone iPhone, oppure un tablet iPad, uno smartwatch Apple Watch, non “durano” più di tre anni. Con i computer questo tempo di “vita” sale a quattro anni. Sebbene siano stati accusati pubblicamente di adottare la politica dell’obsolescenza programmata a danno dei consumatori ed utenti, a discarico la società ha precisato che si tratta di una “definizione dei termini di utilizzo medio dei device da parte del primo acquirente”.

    Il perseguimento di un obbiettivo di tal genere su larga scala oltre che essere anti-economico per i consumatori, costretti periodicamente a dover rinnovare i propri oggetti di uso quotidiano, soprattutto tecnologici, crea, sotto altri aspetti, esternalità negative quali, prima fra tutte, una grande produzione di rifiuti elettrici ed elettronici difficili da smaltire poiché contenenti rifiuti di varia natura sicuramente non biodegradabili, plastiche, gomme, metalli rame, ferro, acciaio, alluminio, vetro, argento, oro, e, ben più grave, sostanze tossiche quali piombo e mercurio.

    Il notevole incremento di apparecchi che non possono più essere destinati all’uso quotidiano genera il rischio sempre maggiore di abbandono nell’ambiente di tali oggetti o il conferimento in discariche e termovalorizzatori, entrambi fenomeni capaci quindi di inquinare ogni ambiente di vita umano, l’aria, l’acqua, il suolo.

    Il Legislatore comunitario si è interessato di questa problematica: alcune norme contenute nella direttiva n. 99/44/CE stabiliscono un periodo minimo di garanzia dei prodotti pari a due anni, che può essere aumentato dai singoli Stati membri, considerando quindi un minimo di durata che deve essere rispettato nell’area UE.
    Un'altra direttiva la n. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali sleali, stabilisce che l’operatore economico che non informa il consumatore se il prodotto sia stato progettato per avere una durata limitata è passibile di sanzione da parte di ciascuno Stato membro.
    Purtroppo tali normative, espresse nelle direttive UE richiamate, non sempre vengono recepite e quindi non essendo direttamente applicabili non possono essere diffusamente applicate negli stati membri, lasciando quindi ampio spazio ai produttori di attuare indisturbati quest’odiosa pratica dell’obsolescenza programmata, a danno dei cittadini consumatori e dell’ambiente.

    L’obsolescenza programmata, quindi, non solo è antieconomica per i consumatori, ma oltretutto è anche anti-ecologica per l'ambiente, stante l’incessante produzione di rifiuti altamente inquinanti e non completamente riciclabili.

    La modernità odierna non può più permettersi di sopportare i costi di una politica industriale così insostenibile dal punto di vista economico ed ambientale.
    Solo attraverso la compressione del fenomeno dell’obsolescenza programmata attuata dai grandi produttori di beni si potrà ottenere un cambio etico, volto al mutamento delle abitudini dei cittadini moderni, ed il modo di concepire i beni di consumo.


    Qui il link alla mia proposta di legge.
     

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